Intervenire ed alzare la mano, di fronte ad una classe ed un insegnante, è da sempre un atto di coraggio per ogni studente, celante ogni volta un’implicita paura di sbagliare, di essere giudicato o criticato. Quanto è diventato tutto ciò ancora più difficile nella didattica a distanza?
In questa nuova modalità di fare lezioni, imposta dalla pandemia che stiamo vivendo, i giovani studenti riportano molte più difficoltà nell’azione di prendere parola, all’interno dell’aula virtuale.
Per prendere parola, infatti, non basta più alzare la mano e attendere in silenzio, aspettando che l’insegnante si accorga dello studente.
Gli alunni devono accendere il microfono e chiedere di poter intervenire, un’azione che cela, in realtà, dubbi e timori: “E se il microfono non funziona bene e nessuno mi sente, dovrò ripetere di nuovo tutto quello che ho detto? Quando inizio a parlare la mia faccia comparirà nello schermo di tutti i miei compagni, ne vale la pena? Se la connessione salta, che cosa penseranno gli altri?”
Questi sono solo alcune delle migliaia di perplessità che possono portare lo studente a pensare che, forse, è meglio non intervenire.
Inoltre, anche il semplice vedere continuamente la propria immagine nella schermata dell’aula virtuale rappresenta un elemento non indifferente, il quale contribuisce ad incrementare la distraibilità degli studenti.
Quindi, è facile comprendere che viene a mancare tutta la spontaneità e la naturalezza, che caratterizzava l’interazione sociale prima dell’avvento del Covid-19.
Se tutte queste difficoltà e criticità si manifestano in ogni studente che sta vivendo la didattica a distanza, immaginiamo quanto tutto ciò possa essere ancora più frustrante per un bambino con difficoltà diagnosticate.
Le già presenti difficoltà, per questi bambini, nella didattica a distanza diventano muri sempre più difficili da superare.
Pensiamo, ad esempio, ad un bambino con diagnosi di dislessia e alla sua difficoltà di leggere e seguire un testo proiettato sullo schermo o al suo disagio nel riuscire a comprendere quanto dice l’insegnante e, al tempo stesso, prendere appunti.
Un altro esempio potrebbe essere quello di bambini con diagnosi di discalculia che faticano enormemente a seguire procedimenti rapidi matematici proiettati sullo schermo o all’immensa difficoltà per un bambino con diagnosi di ADHD di rimanere concentrato, in un ambiente, di per sé, distraente com’è la propria casa.
Tutti questi aspetti, purtroppo, portano il bambino a percepirsi come inadeguato, inferiore agli altri, non compreso.
Di conseguenza, le già presenti difficoltà, unite a quelle nuove legate alla nuova modalità di didattica, portano ad istaurare un comportamento difensivo nel bambino.
Di fronte a tutti questi elementi di grande frustrazione, il piccolo sarà portato sempre meno ad interagire e potrebbe mostrare anche la volontà di non mostrarsi, attraverso la videocamera, agli altri.
Questa condotta di evitamento, però, in realtà nasconde un grande bisogno di comprensione.
Dobbiamo infatti ricordarci che, anche nella didattica a distanza, come riporta la favola pedagogica del ReTrentatrè: “Per trattare tutti allo stesso modo bisogna, prima di tutto, riconoscere che ciascuno è diverso dagli altri. La giustizia non è dare a tutti la stessa cosa, ma dare a ciascuno il suo”.
Autore: Francesca Natoli & Nicole Zavoli
Francesca Natoli: Psicologa, specializzata in psicodiagnosi e in psicopatologia dell’apprendimento. Referente centro specializzato “ReTrentatrè”, Rimini. Cellulare: 3929281321
Nicole Zavoli: Laureanda in Psicologia presso l’Università di Bologna