“Mamma dice che sono disgrafica!”
“Cosa vuol dire essere disgrafica?”
“Che non si capisce niente quando scrivo!”
Clara, 13 anni, con diagnosi di dislessia. Arriva al mio studio insieme alla madre, la quale mi riferisce che ha preferito “non stressare” la bambina con ulteriori test diagnostici per approfondire la diagnosi di DSA.
“Vedevo la bambina stanca, dopo tutti quei test che le hanno somministrato, pertanto ho deciso di non continuare la valutazione! Dottoressa però le dico che mia figlia è anche disgrafica!”
Incontro Clara qualche giorno dopo, visiono i quaderni, i libri e preferisco fare due chiacchiere prima di metterci a lavoro.
“Mamma dice che sono disgrafica!”
“Cosa vuol dire essere disgrafica?”
“Che non si capisce niente quando scrivo!”
Le chiedo di scrivermi qualcosa di sua invenzione su un foglio. Al termine la leggo, comprensibile. Faccio leggere anche lei, minima difficoltà.
La frase era scritta all’interno del rigo, ben orientata, pressione della penna corretta. Le faccio notare questi dettagli e le mostro una frase scritta da un bambino disgrafico. La reazione di Clara è quella di una bambina stupita ma confusa.
“Allora non sono disgrafica!”
Cominciamo a lavorare quella stessa giornata. Non sui compiti ma sulla sua autostima!
Ogni bambino possiede delle risorse positive e della capacità intrinseche che utilizza per risolvere un compito, che sia esso di natura scolastica o no.
Davanti alla percezione di “non potercela fare” per cause che non riesce ad attribuire, l’autostima di un bambino con DSA inizierà a calare rapidamente.
La disgrafia pone il bambino a nascondersi e vergognarsi della sua scrittura, vissuta come incompetenza: i quaderni pasticciati, sgualciti, pieni di correzioni e cancellature, il diario non ha una organizzazione: una vera fatica!
L’insuccesso prolungato genera scarsa autostima; dalla mancanza di fiducia nelle proprie possibilità scaturisce un disagio psicologico che, nel tempo, può strutturarsi e dare origine ad una elevata demotivazione all’apprendimento e a manifestazioni emotivo -affettive particolari quali la forte inibizione verso i compiti proposti, di qualsiasi natura, scolastici o della vita quotidiana.
Lo immagino così il percorso di un bambino con DSA: quattro atleti, la famiglia, la scuola, il bambino e i servizi sanitari in una staffetta.
Tutti percorrono la pista, passandosi il testimone (la collaborazione), con l’obiettivo comune di raggiungere il traguardo: il benessere psicofisico del bambino.
Percorrendo la pista però, non prendiamoci in giro, si trovano degli ostacoli, delle barriere appunto. Dai genitori, alla scuola, ai servizi, al bambino stesso, siamo tutti coinvolti ad essere ostacolo e a superare questi ostacoli.
Autore: Sharon Maria Lauricella